Dall’accoppiamento delle zanzare, nuove strategie per ridurre la diffusione della pericolosa infezione. Lo evidenzia uno studio di Cnr-Isc e Sapienza  in collaborazione con l’Università degli Studi di Perugia, ora pubblicato su Scientific Reports

Osservare delle zanzare che si accoppiano può sembrare un'attività particolarmente bizzarra, ma che si sta rivelando essenziale nello sviluppo di nuove strategie di lotta contro la malaria. Le femmine di Anopheles gambiae sono vettori di trasmissione del plasmodio della malaria, che ogni anno è responsabile di centinaia di migliaia di decessi. Le tecniche sviluppate negli ultimi anni per contrastare questa malattia si basano su un principio molto semplice: meno zanzare, meno vettori di trasmissione, meno decessi. L’uso di zanzariere impregnate di insetticidi si è rivelato molto efficace negli ultimi 20 anni. Ma questo non basta. Le zanzare hanno sviluppato resistenze agli insetticidi, per cui, dopo una iniziale riduzione, il numero dei contagi annuali è ora in salita.


Uno studio condotto dal Cnr-Ibbc in collaborazione con Tigem, Irccs San Raffaele e Università Cattolica, ha rivelato che l’accumulo nel mesencefalo di una particolare proteina coinvolta nella malattia di Parkinson determina un declino cognitivo progressivo simile alla demenza, che non si manifesta invece se la patologia ha origine nell’ippocampo. La ricerca è stata pubblicata su Nature Parkinson's disease NPJ.

 La malattia di Parkinson è nota per i disturbi motori provocati dalla morte dei neuroni che producono la dopamina a livello del mesencefalo. Tuttavia, spesso questa patologia si associa anche alla comparsa di allucinazioni o di difetti di memoria, che possono in alcuni casi portare all’insorgenza della demenza. I deficit di memoria che si verificano nella malattia di Parkinson e nella demenza a corpi di Lewy sono associati all'accumulo di α-sinucleina, una molecola normalmente presente nel cervello, ma che quando si accumula o si aggrega può portare alla morte dei neuroni, in particolare dei neuroni che producono la dopamina, un neurotrasmettitore coinvolto nella motricità, nei processi emozionali e cognitivi.

Rendering al computer di un piccolo RNA ad interferenza (in blue scuro) agganciato da una delle nanoparticelle sintetizzate nello studio (in arancio scuro) in soluzione fisiologica (sfere trasparenti)

 


Un gruppo di ricercatori dell’Università di Trieste, in collaborazione con altri istituti internazionali tra cui China Pharmaceutical University e Aix Marseille University, ha progettato, sintetizzato e testato due nanoparticelle capaci di trasportare all’interno della cellula in modo selettivo terapie a base di acido nucleico in grado di contrastare la progressione di tumori molto aggressivi.

Il lavoro è stato pubblicato su PNAS.

Le terapie moderne basate sul trasporto e sul rilascio di acidi nucleici - macromolecole di due tipi (DNA e RNA) in grado di trasportare o modificare l’informazione genetica all’interno delle cellule - sono un importante campo di ricerca per contrastare malattie molto gravi, come tumori aggressivi e metastatici e malattie genetiche rare.


La ricerca dell’Università di Pisa in collaborazione con la Yale School of Medicine e l’Università Statale di Milano pubblicata su eLife apre la strada alla comprensione delle malattie genetiche del nostro cervello


Minicervelli riprodotti nei laboratori dell’Università di Pisa grazie a cellule staminali riprogrammate. E’ questo il set sperimentale del tutto innovativo che ha reso possibile lo studio di un particolare gene, WDR62, le cui mutazioni rappresentano la seconda causa più comune della microcefalia, una grave patologia che emerge durante la vita prenatale e che comporta un mancato sviluppo del cervello umano. La ricerca pubblicata sulla rivista eLife è stata condotta dal professore Marco Onorati e dalla dottoressa Claudia Dell’Amico del dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa in collaborazione con la professoressa Angeliki Louvi della Yale School of Medicine.


Un nuovo studio coordinato dal Dipartimento di Fisiologia e Farmacologia Vittorio Erspamer della Sapienza ha osservato i meccanismi con cui il sistema immunitario e il sistema nervoso centrale comunicano per regolare importanti funzioni cerebrali come l’apprendimento e i comportamenti ansiosi. I risultati, pubblicati sulla rivista Nature Communications, aprono nuovi scenari per la prevenzione o il trattamento di patologie come il morbo di Alzheimer, patologie psichiatriche o del neurosviluppo
Un nuovo studio coordinato dal Dipartimento di Fisiologia e Farmacologia Vittorio Erspamer della Sapienza ha indagato i meccanismi con cui il sistema immunitario e il sistema nervoso comunicano per regolare importanti funzioni cerebrali come l'apprendimento e come questa comunicazione sia importante per modulare i comportamenti ansiosi.

Utilizzando un modello sperimentale animale, il gruppo di ricerca guidato da Cristina Limatola ha scoperto che alcune popolazioni di cellule immunitarie risiedono stabilmente nelle meningi cerebrali (nello specifico sono stati caratterizzati i linfociti Natural Killer e le cellule linfoidi innate di tipo 1).


Un nuovo studio coordinato dal Dipartimento di Fisiologia e Farmacologia Vittorio Erspamer della Sapienza ha osservato i meccanismi con cui il sistema immunitario e il sistema nervoso centrale comunicano per regolare importanti funzioni cerebrali come l’apprendimento e i comportamenti ansiosi. I risultati, pubblicati sulla rivista Nature Communications, aprono nuovi scenari per la prevenzione o il trattamento di patologie come il morbo di Alzheimer, patologie psichiatriche o del neurosviluppo
Un nuovo studio coordinato dal Dipartimento di Fisiologia e Farmacologia Vittorio Erspamer della Sapienza ha indagato i meccanismi con cui il sistema immunitario e il sistema nervoso comunicano per regolare importanti funzioni cerebrali come l'apprendimento e come questa comunicazione sia importante per modulare i comportamenti ansiosi.

Utilizzando un modello sperimentale animale, il gruppo di ricerca guidato da Cristina Limatola ha scoperto che alcune popolazioni di cellule immunitarie risiedono stabilmente nelle meningi cerebrali (nello specifico sono stati caratterizzati i linfociti Natural Killer e le cellule linfoidi innate di tipo 1).

 

I risultati di una ricerca condotta presso l’Istituto di genetica e biofisica “Adriano Buzzati-Traverso” del Consiglio nazionale delle ricerche di Napoli sono stati pubblicati sul British Journal of Cancer. I dati raccolti hanno mostrato una vulnerabilità metabolica nei carcinomi papillari e anaplastici della tiroide con mutazione dell’oncogene BRAF. Lo studio, sostenuto da Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro, apre la strada a nuovi approcci terapeutici

Un gruppo di ricerca dell’Istituto di genetica e biofisica “Adriano Buzzati-Traverso” del Consiglio nazionale delle ricerche di Napoli (Cnr-Igb), coordinato da Valerio Costa, ha condotto uno studio che ha portato all’identificazione di una vulnerabilità nel metabolismo delle cellule tumorali di carcinomi papillari e anaplastici tiroidei con una mutazione nell’oncogene BRAF. Tale oncogene è responsabile della produzione di un enzima che controlla la proliferazione cellulare. I risultati sono stato pubblicati sulla rivista British Journal of Cancer.



Grazie a uno studio multicentrico realizzato dagli Istituti Irib e Iasi del Cnr, e condotto in collaborazione con l’Istituto S’Anna di Crotone e altri centri clinici nazionali, è stato messo a punto un innovativo modello matematico per caratterizzare e prevedere gli esiti clinici dell’uscita dallo stato di coma. La ricerca, pubblicata su Scientific Reports, ha preso in esame pazienti con gravi cerebrolesioni acquisite.

 Una ricerca coordinata dall’Istituto per la ricerca e l’innovazione biomedica del Consiglio nazionale delle ricerche di Messina (Cnr-Irib) e dall’Istituto di analisi dei sistemi ed informatica del Consiglio nazionale delle ricerche di Roma (Cnr-Iasi), realizzata grazie ai dati raccolti da uno studio condotto dall’Istituto S’Anna di Crotone e altri centri clinici nazionali, ha permesso, per la prima volta, di modellizzare gli esiti clinici dell’uscita dallo stato di coma di pazienti con gravi cerebrolesioni acquisite.

 


È la missione di uno startupper cresciuto all’Unipi e oggi ai vertici di una compagnia internazionale


Un’innovazione per i medici ma soprattutto per le famiglie. L’iniziativa Healios (da heal, cioè cura in inglese) propone un sistema di telemedicina per la diagnosi e l’assistenza a distanza dei bambini con disturbi di spettro autistico. Senza dover uscire di casa, comodi sul divano e tra i propri giocattoli, i bambini e i loro genitori possono incontrare i clinici attraverso il monitor del proprio computer ed essere seguiti grazie a strumenti scientificamente validati.

La mente dietro agli algoritmi è quella di Davide Morelli, informatico laureato e dottorato a Pisa, che nell’azienda inglese ricopre il ruolo di VicePresidente per l’intelligenza artificiale. “Healios è cresciuta molto durante la pandemia in Gran Bretagna, - spiega - per evitare che le famiglie fossero abbandonate nel loro percorso. Ma è sempre più usata anche al di fuori dell’emergenza, sostanzialmente perché permette di ridurre drasticamente i tempi di attesa per una diagnosi”. Così oggi Healios è un servizio messo a disposizione del Servizio sanitario inglese (l’NHS).


Uno studio condotto presso la Fondazione Santa Lucia IRCCS in collaborazione Sapienza Università di Roma ha approfondito le reazioni del cervello alle scelte morali: non tutti si comportano allo stesso modo
Un nuovo studio condotto presso il Laboratorio di Neuroscienze Sociali e Cognitive della Fondazione Santa Lucia IRCCS in collaborazione con il Dipartimento di Psicologia di Sapienza Università di Roma e con il Laboratorio di Neuroimmagini della Fondazione Santa Lucia IRCCS ha rivelato che le scelte disoneste adottate durante le interazioni sociali coinvolgono determinate aree del cervello, rilevabili attraverso la tecnica della Risonanza Magnetica Funzionale.

 

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