Il primo successo al mondo nel trasferimento di embrioni nei rinoceronti apre la strada per salvare i rinoceronti bianchi settentrionali dall'estinzione. 

Il team internazionale di scienziati e conservazionisti di cui fa parte anche l’Università di Padova è riuscito a ottenere la prima gravidanza al mondo in un rinoceronte a seguito di un trasferimento di embrioni. L'embrione di rinoceronte bianco meridionale è stato prodotto in vitro da ovociti e spermatozoi raccolti. L'embrione è stato trasferito in una madre surrogata di rinoceronte bianco meridionale presso la Ol Pejeta Conservancy in Kenya il 24 settembre 2023. Il team di BioRescue ha confermato una gravidanza di 70 giorni con un embrione maschile ben sviluppato di 6,4 cm di lunghezza. Il trasferimento dell'embrione e la gravidanza, che hanno avuto successo, rappresentano una prova di concetto e consentono di passare al trasferimento di embrioni di rinoceronte bianco settentrionale in tutta sicurezza, una pietra miliare nella missione di salvare il rinoceronte bianco settentrionale dall'estinzione.

Il 24 settembre 2023, gli scienziati e i veterinari di BioRescue, guidati dal Leibniz Institute for Zoo and Wildlife Research (Leibniz-IZW), hanno trasferito due embrioni di rinoceronte bianco meridionale in Curra, un rinoceronte bianco meridionale, scelto come madre surrogata presso la Ol Pejeta Conservancy in Kenya.


Il progetto, che ha visto la partecipazione del NanoDelivery Lab della Sapienza, insieme con la Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico, l'Istituto dei Tumori Regina Elena e altri enti internazionali, è stato selezionato dallo European Innovation Council nell’ambito del bando Pathfinder 2023 di Horizon Europe
Il progetto di ricerca Laserblood, presentato per Sapienza da Giulio Caracciolo e Daniela Pozzi, che coordinano il NanoDelivery Lab del Dipartimento di Medicina molecolare, è rientrato tra i 53 progetti Pathfinder selezionati dallo European Innovation Council (EIC) a fronte di quasi 800 domande pervenute.


Diventare madri dopo una diagnosi di cancro al seno dovuto a mutazioni dei geni BRCA: si può ed è sicuro. È quanto emerge da uno studio pubblicato di recente sulla prestigiosa rivista medica JAMA e presentato allo scorso San Antonio Breast Cancer Symposium, il più importante congresso internazionale sul cancro al seno. I risultati hanno dimostrato che donne, con mutazioni dei geni BRCA e che hanno avuto un tumore della mammella, possono con sicurezza avere gravidanze. Lo studio, coordinato da Matteo Lambertini dell’Università di Genova, ha coinvolto diversi centri nel mondo, tra cui la Fondazione IRCCS San Gerardo dei Tintori di Monza.


2 ragazze italiane e 1 bambino ucraino in completa remissione: «Benefici rilevanti e sostenuti nel tempo». Il presidente Onesti: «Dalla terapia genica risposte concrete a pazienti senza speranza. Una sfida per i nostri sistemi»


2 ragazze italiane e 1 bambino ucraino di 12 anni, fuggito dalla guerra, sono i primi pazienti pediatrici affetti da gravi patologie autoimmuni ad essere stati trattati con cellule CAR-T capaci di mandare in remissione la loro malattia. Si tratta di un’applicazione innovativa della terapia genica basata sulla manipolazione dei linfociti T del paziente, sperimentata per la prima volta in ambito pediatrico su questo tipo di patologie. I risultati del trattamento, eseguito presso l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, sono stati presentati recentemente a Padova, nell’ambito dei lavori del Centro Nazionale 3 per lo sviluppo della terapia genica previsto dal PNRR, e ancora a Rotterdam, in occasione dell’ultimo Congresso europeo di Reumatologia pediatrica.


I risultati del follow-up a lungo termine di uno studio italiano del Gruppo GIMEMA coordinato da Robin Foà, della Sapienza Università di Roma, confermano l’efficacia, a oltre quattro anni dalla diagnosi, di una terapia di prima linea basata sull’uso combinato di due farmaci che agiscono in modo mirato sul tumore senza il ricorso a chemioterapia e trapianto. I risultati sono stati pubblicati sul Journal of Clinical Oncology.


La leucemia acuta linfoblastica Philadelphia positiva (LAL Ph+) rappresenta il sottogruppo più frequente di questo tipo di tumore del sangue negli adulti, la cui incidenza aumenta progressivamente con l’età. Sopra i 50 anni può infatti interessare un caso su due. Nel passato era considerata la neoplasia ematologica con il decorso più infausto, in quanto poco rispondente alla chemioterapia. L’unica strategia potenzialmente curativa era legata alla possibilità di effettuare un trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche, una procedura raramente percorribile per la scarsa sensibilità alla chemioterapia e per l’età avanzata di molti pazienti.

Uno studio internazionale, che in Italia ha visto capofila il Policlinico Tor Vergata in collaborazione con la Fondazione Santa Lucia IRCCS di Roma, ha dimostrato l’efficacia di uno specifico ceppo del batterio Lactobacillus reuteri, probiotico normalmente presente nel microbiota intestinale, per ridurre i sintomi psicosociali delle sindromi dello spettro autistico.

L’intestino è stato definito “il secondo cervello” e al suo interno si celano possibili nuove terapie per risolvere disturbi neurologici e psichiatrici. In particolare il microbiota intestinale, ossia l’insieme di batteri, funghi, virus e altri organismi che aiutano ad assimilare cibi complessi e forniscono una barriera fondamentale per proteggerci dalle infezioni.

Il Disturbo dello Spettro Autistico, che in Italia ha un’incidenza di 1 bambino su 77 tra i 7 e i 9 anni, è tra le condizioni sulle quali la ricerca si è maggiormente concentrata per comprendere la relazione tra l’asse intestino cervello e i sintomi peculiari dell’autismo. Questi studi hanno evidenziato un’aumentata incidenza di disturbi gastrointestinali e di profili di microbiota differenti nei bambini con autismo rispetto a bambini neurotipici.



PRIMO STUDIO IN EUROPA AUTORIZZATO EMA
Trial clinico: la Terapia intensiva neonatale dell’Azienda Ospedale-Università di Padova
coordina neonatologie italiane e straniere


In Italia nascono ogni anno oltre 30.000 neonati prematuri (il 7% dei nati), cioè bambini che vengono al mondo prima della 37a settimana di età gestazionale. Fra questi neonati prematuri, quelli che pesano meno di 1500 grammi sviluppano, nel 45% dei casi, una malattia polmonare cronica chiamata displasia broncopolmonare che richiede prolungata ossigenoterapia per settimane o mesi con conseguenze che possono persistere fino all’età adulta. Al momento non sono disponibili cure efficaci e sicure per questa malattia.


In luglio 2023 l’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) ha approvato la prima sperimentazione clinica basata sull’uso terapeutico delle vescicole extracellulari, un prodotto naturale isolato da cellule del cordone ombelicale per la prevenzione della displasia broncopolmonare, la malattia polmonare cronica dei lattanti nati prematuri. La sperimentazione è stata poi approvata dal Comitato Etico Nazionale e da AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco). Presentata oggi a Padova, alla presenza, tra gli altri, di Giuseppe Dal Ben, Direttore Generale Azienda Ospedale, e Daniela Mapelli, rettrice Università di Padova, questa ricerca translazionale “made in Padova” è il risultato di un progetto che nasce dalla sinergia fra Università di Padova, Azienda Ospedale e Istituto di Ricerca Pediatrica Città della Speranza.


Una ricerca internazionale che ha coinvolto l’Università Statale di Milano e l’IRCCS Istituto Auxologico Italiano identifica una nuova causa predisponente alla formazione di aneurismi
dell’aorta toracica: un deficit di specifiche selenoproteine, provocato da un difetto ereditario, che porta dell’accumulo di stress ossidativo. Lo studio fornisce inoltre dati preliminari a supporto dell’efficacia di trattamenti preventivi a base di antiossidanti.
Pubblicato su Nature Communications uno studio internazionale che ha coinvolto l’Università Statale di Milano e l’IRCCS Istituto Auxologico Italiano e che ha identificato una nuova causa predisponente alla formazione di pericolosi aneurismi dell’aorta toracica, come conseguenza dell’accumulo di stress ossidativo provocato da un difetto ereditario che comporta il deficit di specifiche selenoproteine (SeP). La ricerca si è avvalsa di dati raccolti in soggetti umani e in modelli murini e di zebrafish.



La sequenza cromosomica pks+, presente nel batterio Escherichia Coli (E.Coli), sembrerebbe contribuire allo sviluppo del tumore al colon. In particolare, vi sarebbe un legame tra le mutazioni associate alla sua presenza e le alterazioni in alcuni geni distintivi di questa tipologia di tumore. Questa scoperta potrebbe fornire opportunità innovative per strategie preventive e terapie personalizzate, specialmente considerando l'incremento dei tumori del colon, soprattutto tra i giovani adulti.

Questo è il risultato dello studio dal titolo “Contribution of pks+ E.coli mutations to colorectal carcinogenesis”, appena pubblicato sulla rivista Nature Communications, realizzato grazie alla collaborazione tra l’Istituto di Ricerca sul Cancro (Londra), Human Technopole e Università degli studi di Milano-Bicocca. Il team di ricerca è stato condotto da Bingjie Chen (Londra), Daniele Ramazzotti (Milano-Bicocca), Trevor A. Graham (Londra) e Andrea Sottoriva (Human Technopole).

Una ricerca internazionale coordinata dall’Istituto di genetica e biofisica “A. Buzzati-Traverso” del Cnr e pubblicata sulla rivista Developmental Cell ha individuato in una piccola proteina la chiave che porta le cellule staminali adulte presenti nelle fibre muscolari a differenziarsi così da rigenerare il tessuto danneggiato o ad autorinnovarsi. Lo studio, condotto in collaborazione con l’Istituto Sanford Burnham di La Jolla (California), l’Università degli Studi di Napoli Federico II e l’IRCCS Fondazione Santa Lucia di Roma, fornisce un importante contributo alla comprensione dei processi di rigenerazione dei muscoli

 Una ricerca internazionale coordinata dall’Istituto di genetica e biofisica “A. Buzzati-Traverso” del Consiglio nazionale delle ricerche di Napoli, condotta in collaborazione con l’Istituto Sanford Burnham di La Jolla (California), l’Università degli Studi di Napoli Federico II e l’IRCCS Fondazione Santa Lucia di Roma, ha individuato in una piccola proteina la chiave che guida le cellule staminali adulte, presenti nelle fibre muscolari, a differenziarsi, rigenerando così il tessuto muscolare danneggiato o ad autorinnovarsi, mantenendo una riserva pronta per futuri cicli rigenerativi.

 

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