Ricercatori guidati dall’Università di Padova aprono nuove prospettive di contenimento e cura grazie ai piccolissimi anticorpi nanobodies.


La malattia da coronavirus (COVID-19) è una malattia respiratoria contagiosa causata dal virus SARS-CoV-2. Gli esiti clinici sono variabili e vanno dal recupero spontaneo alla malattia grave fino alla morte.
Nel marzo 2020, l'Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato una pandemia globale di COVID-19, tre anni dopo sono stati confermati in tutto il mondo circa 670 milioni di casi e 6,8 milioni di decessi. I coronavirus, incluso SARS-CoV-2, contengono un genoma di RNA a filamento singolo racchiuso in un capside virale costituito da quattro proteine strutturali: la proteina nucleocapside (N), la proteina spike (S), la proteina E e la proteina di membrana M. Team di ricercatori internazionale guidato dall’Università di Padova ha pubblicato sulla prestigiosa rivista «Cell Death and Disease» lo studio Perturbation of the host cell Ca2+ homeostasis and ER-mitochondria contact sites by the SARS-CoV-2 structural proteins E and M che evidenzia il ruolo delle proteine E ed M – fino a oggi ancora poco caratterizzate - nei meccanismi di proliferazione cellulare dei coronavirus, aprendo nuove prospettive di contenimento e cura delle epidemie da diversi tipi di coronavirus.


Grazie a tecniche avanzate di archeotossicologia, un team dell’Università degli Studi di Milano ha studiato le pratiche farmacologiche messe in campo nel XXVII secolo nella Cà Granda, l’ospedale dei milanesi. La ricerca è stata pubblicata su Scientific Reports.
Nel Seicento, il papavero da oppio veniva somministrato dai medici dell’epoca ai pazienti dell’Ospedale Cà Granda per le sue proprietà sedative, oltre che per il trattamento dell’algesia e in qualità di antitussivo: lo ha scoperto un team di scienziati dell’Università Statale di Milano che ha recentemente pubblicato l’articolo su Scientific Reports. La ricerca è stata coordinata da Gaia Giordano, dottoranda in Medicina Traslazionale (supervisore Prof. Francesco Sardanelli) presso il laboratorio di analisi chimico-tossicologiche forensi del Dipartimento di Scienze Biomediche della Salute della Statale di Milano e da Mirko Mattia, curatore e conservatore della CAL (Collezione Antropologica del LABANOF) e del MUSA (Museo Universitario delle Scienze Antropologiche, Forensi e Mediche per i Diritti Umani), sotto la guida di Cristina Cattaneo, direttrice del LABANOF (Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense), del MUSA e della CAL e Domenico Di Candia, tossicologo forense presso il laboratorio di analisi chimicotossicologiche forensi.


Uno studio condotto dalla Fondazione Tettamanti in collaborazione con Sapienza Università di Roma e altri centri di ricerca italiani ha scoperto che l’interazione tra una proteina e il suo recettore induce una popolazione di globuli bianchi a proteggere l’intestino aggredito da una delle più frequenti complicanze dovute al trapianto da donatore di cellule staminali ematopoietiche. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista scientifica internazionale JCI Insight
Uno studio coordinato dalla Fondazione Tettamanti, in collaborazione con Sapienza Università di Roma e altri centri di ricerca italiani, ha scoperto che l’interazione tra due proteine può essere decisiva per contrastare una delle più frequenti complicanze causate dal trapianto da donatore di cellule staminali ematopoietiche (quelle in grado di generare tutte le altre cellule del sangue). Strumento prezioso per contrastare i tumori del sangue, il trapianto causa in circa il 60% dei pazienti una patologia definita GvHD, Graft-versus-Host Disease che causa infiammazione e danno nei tessuti dell’intestino.


Immagine della corteccia somatosensoriale del modello murino, ottenuta al microscopio. Sono visibili gli astrociti (in verde), gli accumuli di beta-amiloide (in bianco) e i nuclei cellulari (in blu)

 


Ricercatori dell’Istituto di neuroscienze del Cnr e dell’Università degli studi di Padova hanno individuato nella mancata attivazione degli astrociti, un tipo di cellule presenti nella corteccia cerebrale, un deficit che pregiudica la funzionalità del cervello nei modelli murini. La ricerca, pubblicata su Nature Communications, potrà favorire la diagnosi precoce della malattia e lo sviluppo di nuove terapie mirate

Un team di ricercatori dell’Istituto di neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche di Padova e Pisa (Cnr-In) e del Dipartimento di scienze biomediche dell’Università degli studi di Padova ha studiato le alterazioni dei segnali intracellulari nella malattia di Alzheimer, una patologia neurodegenerativa - ancora oggi incurabile - che colpisce oltre 50 milioni di persone nel mondo. L’Alzheimer si caratterizza per una progressiva atrofia cerebrale con perdita di memoria e problemi cognitivi e, nella maggior parte dei pazienti, si presenta in forma sporadica. Solo nel 5% dei casi è familiare, ovvero causata da mutazioni genetiche ereditarie.

 

Uno studio recentemente pubblicato su Nature Communications Biology, condotto dal Cnr-Ibiom insieme all’Università di Bari e all’Università Statale di Milano, con il supporto della piattaforma bioinformatica e genomica di Elixir Italia, ha sviluppato una metodologia che consente di classificare tempestivamente le nuove varianti del virus di SARS-CoV-2 determinando anche un indice di patogenicità tale da permettere una risposta sanitaria immediata e personalizzata. Il sistema può essere utilizzato per eventuali nuove pandemie.

 Un team dell’Istituto di biomembrane, bioenergetica e biotecnologie molecolari del Consiglio nazionale delle ricerche di Bari (Cnr-Ibiom), dell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”, dell’Università Statale di Milano, con il supporto della piattaforma di genomica e bioinformatica messa a disposizione dal nodo italiano dell’Infrastruttura di ricerca europea Elixir per le scienze della vita, ha messo a punto un sistema computazionale per l’identificazione delle varianti virali più pericolose per la salute pubblica mediante una analisi comparativa di oltre 11 milioni di genomi virali campionati nel corso della pandemia.


Scoperta una nuova correlazione tra le molecole di RNA circolari e il tumore pediatrico rabdomiosarcoma. I risultati di questa ricerca aprono una nuova strada nell’identificazione di innovativi approcci terapeutici contro questa forma di cancro
Un gruppo di ricercatrici e ricercatori dell’Istituto Italiano di Tecnologia – IIT e della Sapienza Università di Roma guidato da Irene Bozzoni, coordinatrice del laboratorio Non coding RNAs in Physiology and Pathology, ha scoperto una nuova correlazione tra le molecole di RNA circolari e il tumore pediatrico rabdomiosarcoma. I risultati, pubblicati sulla rivista Nature Communications, rappresentano un importante contributo per lo sviluppo di innovativi approcci terapeutici.


Ricercatori dell’Università di Padova scoprono che il ciclo circadiano e la proteina BMAL1 possono interferire con la proliferazione dei nostri vasi sanguigni.


L'orologio circadiano è un timer biologico interno che coordina il funzionamento dei nostri organi e l'espressione genica con il giorno solare di 24 ore.
Alterazioni dell’orologio circadiano sono state associate a disfunzioni vascolari suggerendo una possibile diretta funzione dell’orologio circadiano nelle cellule endoteliali che formano i
vasi sanguigni. Tuttavia, il ruolo funzionale dell'orologio circadiano nelle cellule endoteliali e nella regolazione dell'angiogenesi (processo di formazione dei vasi sanguigni) è ampiamente inesplorato.

«Nel nostro laboratorio abbiamo utilizzato approcci innovativi per dimostrare che le cellule endoteliali possiedono un proprio orologio molecolare e mostrano robuste oscillazioni dell’espressione dei geni durante l’alternarsi del giorno e della notte – spiega il prof. Massimo Santoro, del Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova e corresponding author dello studio -. Compromettendo la funzione specifica del maggiore regolatore dell'orologio circadiano, una proteina chiamata BMAL1, rileviamo difetti dell'angiogenesi nei tessuti vascolari neonatali del topo, nonché nei vasi sanguigni che irrorano un tumore.


 Ad oggi, non conosciamo ancora quali siano le cause di malattie come l’Alzheimer o la Malattia di Parkinson; di conseguenza, le terapie a disposizione non sono purtroppo in grado di arrestare o rallentare la patologia. Ciò vale per tutte le cosiddette “malattie neurodegenerative”, che comprendono anche nomi noti, quali la Sclerosi Laterale Amiotrofica, e meno noti come la Demenza o Sindrome Fronto-Temporale (FTD).


Ma un inatteso aiuto potrebbe arrivare da un piccolo animale marino, l’invertebrato di nome botrillo, un animaletto che cresce e si riproduce a basse profondità in mari quali il Mediterraneo e, in particolare in zone ricche in nutrienti e calde dell’Adriatico, come la Laguna di Venezia. Si tratta di un essere vivente molto semplice che presenta al suo interno anche un cervello rudimentale, costituito da poco meno di un migliaio di neuroni. Tuttavia tale organismo appartiene al gruppo di animali considerati i parenti più prossimi ai vertebrati (il gruppo a cui anche l’uomo appartiene) e, anche per tale motivo, i ricercatori lo stanno studiando da tempo.


Un nuovo studio internazionale, pubblicato sulla rivista Brain e coordinato dal Dipartimento di Neuroscienze umane della Sapienza, suggerisce una nuova ipotesi interpretativa della rigidità muscolare nella malattia di Parkinson.


Uno dei tratti caratteristici della malattia di Parkinson è la rigidità muscolare, un aumento patologico del tono muscolare che si manifesta con una contrazione sostenuta e involontaria, che costituisce una invalidante limitazione della mobilità, talvolta associata a dolore cronico. Ad oggi sono ancora poco chiari i meccanismi alla base del fenomeno, del quale non è disponibile neanche una misura strumentale affidabile.

 

4 - 5- 6 Maggio 2023

Padova Congress Via N. Tommaseo, 59

A Padova il 9° congresso della Società Italiana Parkinson e disordini del movimento Limpe/Dismov Ets

 

Le sfide diagnostiche e quelle terapeutiche, le nuove tecniche di neuro-modulazione, l’approccio olistico alla gestione della malattia: sono solo alcuni dei temi in programma per uno dei più importanti appuntamenti scientifici internazionali dedicati alla malattia di Parkinson. 

Sarà la città di Padova ad ospitare per tre giorni dal prossimo 4 maggio il 9° Congresso della Società Italiana Parkinson e Disordini del Movimento/LIMPE-DISMOV ETS, che riunirà i maggiori esperti italiani e internazionali per un confronto sulle ultime conoscenze e sulle modalità di diagnosi più avanzate relative alla Malattia di Parkinson, la seconda più comune malattia degenerativa dopo l’Alzheimer.

 

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