Storia e Medicina

Storia e Medicina (12)


Uno studio coordinato dalla Sapienza ha identificato micro residui della spezia nel tartaro dentale di resti scheletrici provenienti dal lebbrosario inglese di Peterborough, confermandone l’utilizzo nei preparati medicinali del tempo. I risultati del lavoro, frutto della collaborazione anche con l'Università di Roma Tor Vergata che ha condotto le analisi sul DNA antico, aprono nuove prospettive nella ricerca archeologica della medicina medievale e del passato. L'articolo è pubblicato sulla rivista Scientific Reports
Un gruppo di ricerca internazionale coordinato dalla Sapienza Università di Roma ha individuato per la prima volta in Europa la presenza dello zenzero (Zingiber officinale) in individui di epoca medievale affetti dalla malattia di Hansen, meglio conosciuta come lebbra. I risultati sono stati ottenuti grazie all’identificazione dei microresti di origine vegetale intrappolati all’interno del tartaro dentale prelevato da resti scheletrici provenienti dal lebbrosario inglese di Peterborough.

 

Un nuovo studio, condotto da ricercatori della Sapienza e del Max Planck Institute for the Science of Human History, ha dimostrato, grazie all’analisi di pollini fossili provenienti da 19 paesi europei, che la terribile pandemia non colpì tutte le regioni del vecchio continente, ma si diffuse a macchia di leopardo. I risultati sono pubblicati sulla rivista Nature Ecology and Evolution
La Peste Nera, che ha afflitto l’Europa, l’Asia occidentale e il Nord Africa dal 1347 al 1352, è la maggiore e più nota pandemia della storia. Gli studiosi hanno stimato che circa il 50% della popolazione europea ne fu vittima.

Tuttavia una recente ricerca della Sapienza e del Max Planck Institute for the Science of Human History, pubblicata sulla rivista Nature Ecology and Evolution, confuta le ricostruzioni storiche passate e dimostra che la mortalità della Peste Nera in Europa non è stata così elevata come si pensava. Soprattutto dimostra come la sua diffusione nel vecchio continente sia avvenuta a macchia di leopardo, colpendo duramente alcune regioni e in misura minore delle altre.

A questi risultati i ricercatori sono arrivati grazie all’analisi del polline fossile proveniente da 261 siti (laghi, torbiere e paludi) in 19 Paesi dell’Europa.

La musica è sesso… imbottigliato, la maggior parte dei grandi musicisti lo sosteneva. La storia ci racconta che per fare musica essi sublimavano la loro sessualità o si concedevano grandi lussurie per trarne ispirazione.

In particolare nel XIX secolo i compositori erano permeati di un ideale romantico che, se pur appagante nello spirito, spesso non soddisfaceva la loro parte carnale: per questo molti si innamoravano di donne irraggiungibili e poi si davano via con qualsiasi prostituta che passava. La sifilide ne era l'inevitabile risultato. Neppure una malattia letale - a quel tempo molto più pericolosa di quanto sia l'AIDS oggi - riusciva a trattenerli dal perseguire i loro sogni erotici.

E' il caso di Franz Schubert, che morì di sifilide quando non aveva ancora 32 anni. Il sesso sfrenato con una quantità di donne da una notte gli regalò la malattia che lo avrebbe finito prima che lui a sua volta finisse la sua musica.

E' risaputo che Schubert frequentasse spesso i bordelli di Vienna, che in quel periodo erano numerosi, la sua ricerca dell'amore mercenario era sfrenata, forse perché, goffo e timido con le donne e poco attraente nella figura, non riusciva ad avere approcci femminili soddisfacenti. Un suo amico disse di lui: "Schubert è un vero pesce lesso con l'altro sesso. Non si cura nell'abbigliamento né nei denti, puzza di tabacco e non è davvero un figurino". La cosa era in parte vera, sappiamo però che egli aveva dei bellissimi occhi, languidi e dolci, ma li nascondeva dietro a degli orribili occhialini che portava sempre, anche a letto.

Diceva Schubert: "Per molti anni ho cantato la mia canzone solitaria. Se cantavo l'amore subito si tramutava in dolore. Se avessi cantato il dolore si sarebbe tramutato in amore. Così ero lacerato fra la gioia e il dolore". Affermazione che descrive sia la sua condizione umana in generale sia i sintomi di un noto ben male.

La sifilide era endemica in certi luoghi, e Schubert lo sapeva bene, si presuppone che egli li frequentasse lo stesso a causa della sua timidezza, ma alcuni biografi affermarono che egli avesse anche delle tendenze omosessuali; il biografo schubertiano Maynard Salomon sostiene infatti di aver trovato fra gli scritti di Schubert il tipico gergo omosessuale viennese di allora. 

Una volta, mentre era ubriaco o forse offuscato dall'oppio - di cui era un accanito fumatore - Schubert affermò che necessitava di "giovani pavoni", come ebbe a dire anche Benvenuto Cellini, e cioè dei bei ragazzi spesso travestiti a cui l'artista pare che desse spesso la caccia; ma sappiamo anche che all'inizio del XIX secolo a Vienna mangiare la carne di pavone era considerato un valido rimedio contro la sifilide. Il dubbio quindi sta nel considerare se il "giovane pavone" di cui egli diceva di aver bisogno sia un ragazzo o il rimedio contro la malattia. C'è da dire, in verità, che Schubert si contornava di giovani ammiratori, tutti provenienti da scuole rigorosamente maschili, e lui stesso scrisse molte lettere piene di passione ad amici maschi.

La malattia lo colpì nel 1822, il che avrebbe dovuto escludere qualsiasi successivo rapporto sessuale, ma così non fu: una volta contratta la sifilide Schubert continuò a comprare i favori sessuali delle donne dei bordelli. 

Verso la fine della sua vita egli era tormentato da continui dolori alla testa, perdita di appetito, violenti sbalzi d'umore, allucinazioni, era costretto a letto per lunghi giorni ed era pervaso da uno stato di malessere causato dal mercurio che assumeva come medicinale, addirittura a causa di questo farmaco le mani gli cominciarono a tremare, tanto che suonare il piano gli divenne sempre più difficile. 

Tuttavia non smise mai né di bere né di fumare, il che indeboliva sempre di più il suo fisico.
Nei suoi diari leggiamo che il sesso era per lui un "momento di paura e un po' di piacere", e di un "dolore nervoso e battente" che sempre provava, le cure dell'epoca erano blande e poco efficaci, come bagni in acqua con aggiunta di un distillato di bulbi di narciso selvatico, usata anche per le irritazioni cutanee. Un'altra cura era quella dei "bagni animali", e consisteva nel mettere in ammollo le parti doloranti nella carne di un animale macellato di recente.

Il certificato di morte di Schubert attesta che egli morì di febbre nervosa, ma dalle medicine prescrittegli prima della morte è chiaro che soffrisse di sifilide. A causa del suo amore per i piaceri della vita egli percorse quei sentieri pericolosi che non hanno ritorno, perlomeno non uno salutare.

Nonostante la sua squallida fine, o forse a causa di essa, la musica di Schubert ha ispirato generazioni di amanti, felici o tormentati, più di quella di chiunque altro. Egli attraversò tutto il calvario della malattia dai suoi stadi iniziali fino a quello terminale.

 

Autore: Marina Pinto

"Mi aspettavo la notizia della morte di qualcuno… e così è stato. È toccato al povero Polidori. Quando era mio medico parlava continuamente di acido prussico, di olio d'ambra, di bolle d'aria nelle vene, di soffocamento per vapori di carbone e di misture velenose… Sembra che la causa sia da ricercarsi nelle sue delusioni…". Senza manifestare emozioni né commozione, lasciando anzi trasparire una certa irrisione, con queste parole il poeta George Byron commentò la notizia della morte di John Polidori, quando gli giunse nella tarda estate del 1821. Byron si trovava allora in Italia e da tempo aveva perso di vista colui che era stato suo medico personale quando aveva lasciato precipitosamente la patria.

Nell'aprile del 1816, al momento della partenza per l'Europa continentale al seguito del grande e chiacchierato poeta, Polidori era un giovane di belle speranze, un po' fatuo e presuntuoso, che aveva soprattutto un obiettivo ben fisso in mente: conquistarsi un posto di rispetto nell'ambiente colto e aristocratico inglese. Figlio di un letterato e romanziere di origine italiana, Gaetano Polidori, John aveva completato i suoi studi di medicina all'Università di Edimburgo con una tesi su un argomento insolito, il sonnambulismo, ed era stato proprio durante la preparazione di questo elaborato che aveva scoperto di amare più la scrittura che l'arte sanitaria.

Musicoterapia

07 Nov 2011 Scritto da

L'Associazione “Nuova Acropoli”, ONLUS che ha come fine quello di favorire il volontariato studentesco, motivando l'attivismo dei giovani collaboratori attraverso momenti di riflessione e di introspezione, ha organizzato, presso la propria sede nel XV Municipio di Roma, un interessante laboratorio di musicoterapia.
Il ciclo di incontri, iniziato il giorno 27 ottobre e intitolato ”Arcobaleno sonoro” è tenuto dalla musicologa Daniela Ciamei dell'Università di L'Aquila.
La musicoterapia, affermatasi presso il vasto  pubblico solo negli anni '70, è una disciplina che non ha la pretesa di curare specifiche patologie. Tuttavia, come è stato ampiamente dimostrato, se praticata regolarmente, può avere degli effetti positivi nel trattamento di alcuni disturbi molto comuni ed in generale ha la capacità di migliorare il livello della qualità della vita.
Iperattività, disturbi del linguaggio, difficoltà nel relazionarsi e di comunicazione con gli altri, questi sono gli ambiti principali in cui la musicoterapia sta guadagnando, specie in paesi come Argentina, Canada e Stati Uniti, un'attenzione crescente nel mondo accademico.

Il compositore Edvard Grieg nacque a Bergen, in Norvegia, il 15 Giugno 1843. Mostrando già da piccolo una grande attitudine alla musica fu mandato a studiare in Germania, a Lipsia, ma rimase sempre molto legato alla sua terra nordica, tanto che una volta completati gli studi egli tornò stabilirsi nel suo paese, dove compose tanta musica che la sua persona divenne il simbolo stesso dell’arte musicale norvegese della fine dell’800.
La sua fama si basa su composizioni delicate di gran richiamo, come i brevi “Lyriske stikker” op.38, delle vere miniature musicali, ed anche lavori più lunghi dal fascino squisito, pieni di delicatezza e di straordinari spunti lirici che Grieg traeva dallo studio della musica popolare norvegese, come il famoso “Peer Gynt”, la sua opera più celebre.

Grieg aveva una corporatura esile, un tipico aspetto nordico piuttosto delicato con capelli chiari ed occhi sognanti, ed un carattere tranquillo ed introverso, egocentrico e laborioso.
Il calvario della sua malattia cominciò nel 1860 con un attacco di pleurite – quando era ancora studente a Lipsia - contrassegnato da febbre, dolori al torace, difficoltà di respirazione e fiato corto. Anche da adulto quest’affezione lo tormentò, un insufficienza cardiaca probabilmente congenita inoltre gli provocava una lenta distruzione del sistema vascolare, che necrotizzava i vasi sanguigni dei polmoni, per cui il cuore si affaticava sempre più finendo per cedere.
Nel 1907 Grieg era molto malato, con il respiro veloce ed affannato, e nella notte del 3 Settembre si addormentò, calmo come un bambino, per non svegliarsi più.
Questo “cur pulmonale” – così come si definisce la malattia – e l’insufficienza respiratoria avanzata furono le cause della morte del compositore.

I 150 anni di Unità d’Italia sono un’occasione irripetibile per riappropriarsi del nostro passato e per rafforzare la nostra identità nazionale.  Una lettura della storia dello Stato italiano ci può venir data dai cambiamenti avvenuti nello stato di salute della popolazione, dall’evoluzione delle conoscenze scientifiche e tecnologiche e dalle forme di assistenza sanitaria erogate dal 1861 ad oggi.  L’Unità d’Italia ha giovato alla sanità pubblica consentendo di affrontare le problematiche sanitarie con strategie nazionali. L’esempio più importante del ruolo dell’Unità è dato dalla vaccinazione che consentì di eliminare nel nostro Paese malattie terribili come il vaiolo, la poliomielite, il tetano, la difterite.  L’Italia post-unitaria era un paese prevalentemente agricolo caratterizzato da un altissimo tasso di povertà soprattutto nelle campagne. Il tasso di mortalità infantile era estremamente elevato. La durata della vita media non superava per uomini e donne i 35/40 anni. La miseria, la disoccupazione indussero centinaia di migliaia di nostri connazionali del Veneto, della Lombardia ma anche delle regioni meridionali a scegliere la strada della emigrazione alla ricerca di prospettive di vita decorosa per sé e per la propria famiglia. La pellagra era la malattia che più di ogni altra era strettamente associata alla povertà. Essa era dovuta al fatto che i contadini si nutrissero esclusivamente di polenta. Si manifestava con dermatite, diarrea e demenza. Molti manicomi dell’epoca erano pieni di soggetti affetti da pellagra.  Nella seconda metà dell’ottocento e per buona parte del novecento uno dei maggiori problemi sanitari era rappresentato dalla malaria che affliggeva prevalentemente le popolazioni del centro e del sud Italia isole comprese.  Tappe fondamentali della lotta alla malaria furono: la scoperta da parte di Giovan Battista Grassi della trasmissione dell’infezione attraverso la zanzara Anophele, la distribuzione del chinino di stato negli spacci di Sali e tabacchi come misura di terapia e profilassi per la popolazione, le bonifiche dell’Agro Romano e dell’Agro Pontino  avvenute nel Ventennio fascista e la disinfestazione con DDT intrapresa nell’immediato dopoguerra grazie agli aiuti americani.

L’Accademia di Storia dell’Arte sanitaria ha inaugurato il 26 novembre, presso la Sala Alessandrina del Museo Storico Nazionale dell’Arte Sanitaria in prossimità dell’Ospedale di Santo Spirito di Roma, l’Anno Accademico 2010-2011. Una intensa e proficua attività culturale e scientifica nel campo della medicina che l’Accademia svolge sin dal 1920, anno della sua fondazione, anche attraverso la custodia del Museo Nazionale di Storia dell’Arte Sanitaria, uno dei più importanti a livello mondiale.
In questi ultimi anni, obiettivo prioritario dell’Accademia è stato quello di rinnovare i suoi rapporti di collaborazione con le Università e con altre organizzazioni scientifiche del settore della Salute, della Medicina e delle altre discipline affini come bioetica, antropologia, sociologia.

James Barry, di origine scozzese, aveva un'intelligenza assai viva e un'indomita passione per la medicina. Lo dimostra il fatto che riuscì a laurearsi a soli 17 anni, nel 1812, a Edimburgo, con un lavoro sull'ernia inguinale, che oltretutto lasciava presagire una pronunciata predilezione per la chirurgia.

Nella tesi venivano ringraziati, per il sostegno dato ai suoi studi, Francisco de Miranda, un illuminato rivoluzionario venezuelano, e Lord Buchan, un noto aristocratico inglese.

Pochi mesi dopo la laurea, nel gennaio del 1813, Barry superò l'esame presso il Royal College of Surgeons di Londra per entrare, in qualità di chirurgo, nella sanità militare. Era l'inizio di una lunga carriera che, percorsa rapidamente, sarebbe durata oltre 50 anni.

L'orecchio è l'alleato più valido per un musicista, attraverso di esso egli si accerta se una intonazione è perfetta o se l'impasto timbrico che deriva dall'insieme di più strumenti che suonano contemporaneamente è giusto o meno rispetto all'effetto che deve produrre. Lo stesso orecchio è responsabile della percezione di ogni sfumatura sonora che può produrre una voce umana, il canto a voce piena o sommessa crea un'atmosfera diversa nell'ascoltatore, che proprio grazie all'udito - perfetto o no - coglie pienamente il significato di una o di un'altra frase musicale.

Possedere un udito raffinato è dote di pochi, ancora oggi, e proprio per questo raccontiamo una storia legata ad un grande musicista del passato: lo sapevate che Mozart aveva un orecchio eccezionale? Beh, naturale, direte voi, un genio della musica! Ma qui non si tratta solo di musica: è vero che al tempo in cui visse il grande compositore l'orecchio era il solo ed unico modo per sentire se davvero le intonazioni dei vari strumenti erano giuste e in accordo fra loro, o anche se un solo strumento in un insieme era perfettamente accordato, o ancora se una sola voce fra le tante non era intonata al punto giusto. Ma nella storia di Mozart c'è di più.

Anche gli avversari più malevoli riconoscevano che Mozart aveva un "orecchio" straordinariamente fine che gli consentiva di individuare errori di intonazione anche minimi sia negli insiemi strumentali sia in quelli vocali, la musica corale scritta da Mozart è davvero speciale per quel suono perfettamente amalgamato formato da voci perfettamente legate da armonie perfette che sembrano accarezzare l'orecchio.

Ma non parliamo solo di orecchio musicale: poiché Mozart aveva una evidente malformazione all'orecchio sinistro alcuni ritennero che le due cose fossero in relazione, cioè che l'artista fosse musicalmente così dotato proprio a causa di quella anomalia fisica, e ne venne fuori una leggenda che perdura ancora oggi.

 

 

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