Radiazioni ionizzanti: quando a basse dosi proteggono il DNA

Università di Roma La Sapienza 21 Set 2022


Un nuovo studio, coordinato dal Dipartimento di Biologia e Biotecnologie Charles Darwin della Sapienza, ha dimostrato che le basse dosi di radiazioni possono proteggere i cromosomi da stress genotossici. I risultati sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista Communications Biology
Sebbene non ci siano dubbi sul fatto che alte dosi di radiazioni ionizzanti come i raggi X e i raggi gamma possono avere gravi conseguenze biologiche, non sono ancora chiari i rischi delle basse dosi sulla salute umana.

Comprendere gli effetti associati alle basse dosi di radiazioni riveste un’importanza rilevante dal punto di vista sociale, proprio per le continue esposizioni a cui siamo giornalmente sottoposti, durante il lavoro o gli screening medici, ma anche per i frequenti viaggi aerei. Determinare con certezza questi rischi, in primo luogo sugli organismi modello, è quindi uno dei compiti centrali dell’epidemiologia e della biologia delle radiazioni.

Un nuovo studio, coordinato da Giovanni Cenci del Dipartimento di Biologia e biotecnologie Charles Darwin della Sapienza, ha mostrato che l’esposizione cronica del comune moscerino della frutta (Drosophila melanogaster) a basse dosi di radiazioni durante lo sviluppo rende le cellule di questo organismo modello resistenti al verificarsi delle rotture cromosomiche (una conseguenza del danno al DNA) indotte successivamente da alte dosi di raggi gamma. Inoltre, il sequenziamento dell’RNA dei moscerini esposti ha permesso di comprendere per la prima volta che questo tipo di risposta, definita ‘radio adattativa’ è associata alla riduzione dell’espressione di un gene, chiamato Loquacious.

La ricerca, nata dalla collaborazione della Sapienza con l’Istituto superiore di sanità e l’Università di Padova e sostenuta da grant FERMI Institute for Multidisciplinary Studies, ISS-INFN e Istituto Pasteur, è stata pubblicata sulla rivista Communications Biology.

“La risposta radio adattativa – spiega Antonella Porrazzo, prima autrice dell’articolo – è un fenomeno noto nel campo della radiobiologia. Grazie all’utilizzo del Libis, un irradiatore per le basse dosi unico nel suo genere e messo a disposizione dai collaboratori dell’Istituto superiore di sanità, abbiamo dimostrato che questa risposta ha il suo massimo effetto solo a una particolare combinazione di dose e rateo di dose. Inoltre, la resistenza al danno al Dna indotto dalla successiva esposizione acuta è presente nella progenie dei moscerini esposti alle basse dosi, mettendo in evidenza un chiaro ed interessante effetto transgenerazionale”.

Questo studio ha anche evidenziato che l’esposizione alle basse dosi riduce la frequenza di fusioni dei telomeri (strutture complesse poste alle regioni terminali del cromosoma), che avvengono a causa del mal funzionamento delle proteine che proteggono le estremità dei cromosomi.

“Le nostre osservazioni – sottolinea Giovanni Cenci, coordinatore della ricerca – indicano che l’effetto protettivo delle basse dosi può essere esteso a tutti quei siti cromosomici che vengono riconosciuti in modo inappropriato come rotture al DNA”.

Le analisi genetiche hanno dimostrato anche che i mutanti nel gene Loquacious, che codifica una proteina in grado di legare RNA a doppio filamento ed è presente anche nell’uomo, sono resistenti al danno cromosomico indotto dalle alte dosi.

Questi risultati indicano chiaramente che la modulazione del gene Loquacious rappresenta una strategia cellulare efficiente per la salvaguardia dell’integrità cromosomica in seguito a stress genotossici.

“Dato che il gene in questione è conservato anche nelle nostre cellule, gli studi futuri – conclude Giovanni Cenci – potrebbero chiarire un suo eventuale coinvolgimento nel determinare fenomeni di radioresistenza osservati in molti tumori”.

Ultima modifica il Mercoledì, 21 Settembre 2022 07:44
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